“GRAVITY”: DRAMMA DI UNA DONNA NELLO SPAZIO.

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Gravity è un film del 2013, diretto da Alfonso Cuaròn e interpretato da Sandra Bullock e George Clooney. Risulta difficile assegnargli un genere, in quanto potremmo definirlo un dramma spaziale o un lungometraggio di fantascienza. La fotografia è di Emmanuel Lubezki.

L’ingegnere biomedico Dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) è alla sua prima missione spaziale, mentre il comandante Matthew Kowalski (George Clooney) è un veterano ormai giunto alla sua ultima. All’inizio del film li vediamo intenti in operazioni di manutenzione del telescopio orbitante Hubble, durante una passeggiata spaziale, all’esterno del proprio space shuttle Explorer. Inaspettatamente, a rompere la quiete dello spazio, giunge un messaggio della NASA di Houston, la quale li avverte del fatto che un missile ha colpito un satellite russo che, causando una reazione a catena, ha scagliato nello spazio migliaia di detriti, i quali hanno cominciato a ruotare attorno alla Terra e in poco tempo li raggiungeranno. La NASA ordina di abortire la missione e di fare rientro immediato alla base. Purtroppo i pezzi del satellite giungono prima del previsto e li investono con inaudita potenza, causando la morte dell’equipaggio eccetto per Matthew e Ryan. Essi si ritrovano alla deriva, nello spazio silenzioso e desolato.

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Lieutenant Matthew Kowalski

In poco tempo il comandante raggiunge la dottoressa con uno zaino a propulsione MMU (Manned Maneuvering Unit) e, dopo essersi legati con un cavo, si spingono fino all’Explorer. Qui scoprono che la nave ha subito fortissimi danni e che non vi sono sopravvissuti. Decidono allora di dirigersi verso l’ISS (International Space Station); Kowalski deve risparmiare il carburante dell’MMU, così come la Dottoressa Stone non si può permettere di sprecare le sue ultime riserve di ossigeno. Durante il viaggio (l’ISS dista ben 1450 km) i due parlano della vita di Ryan sulla Terra e della morte di sua figlia, avvenuta per un banale incidente. In prossimità della stazione spaziale i due scoprono che l’equipaggio è stato evacuato con uno dei due moduli Soyuz. Kowalski si ritrova impossibilitato a frenare per l’assenza di combustibile, e con lo schianto contro l’ISS si crea una situazione per cui il comandante si deve lasciare andare nello spazio infinito per permettere almeno a Ryan di sopravvivere. Mediante un airlock, mentre Matthew si allontana supportandola moralmente fino all’interruzione delle comunicazioni, la dottoressa entra nella stazione spaziale, dove può respirare nuovamente. Qui, come suggerito da Kowalski, prende l’altra navetta Soyuz (con cui non può arrivare alla terra ferma in quanto il paracadute d’atterraggio è perduto) e punta alla stazione spaziale cinese Tiangong, distante circa 100 km. Allora realizza di essere l’unica superstite della missione, in quanto non riesce più a mettersi in contatto con il comandante e nemmeno a stabilirne uno visivo e lo comunica alla NASA. Infondendosi coraggio cerca di lasciare l’ISS, ma rimane impigliata nel paracadute inutilizzabile, per cui è costretta a uscire in un’altra passeggiata spaziale per tagliare le corde manualmente. Risalita, poco dopo scopre che nel motore del modulo non v’è carburante. Cede quindi alla disperazione, cominciando ad abbassare i livelli di ossigeno nella cabina con l’intenzione di suicidarsi.

GRAVITY
Dr. Ryan Stone

A questo punto ha un’apparizione immaginaria di Matthew, che le suggerisce di utilizzare i propulsori di atterraggio morbido per raggiungere la stazione spaziale cinese. Ella realizza che Kowalski non è reale, ma la visione la aiuta a risollevarsi e prendere forza. Infatti l’idea del suo subconscio funziona, e, dopo essere stata scagliata volontariamente tramite decompressione esplosiva verso la Tiangong, compie l’ultimo tratto per giungervi con l’aiuto di una bombola antincendio (poiché impossibilitata a manovrare la navetta correttamente). La disabitata stazione spaziale cinese sta entrando nell’atmosfera, disintegrandosi progressivamente. La dottoressa riesce infine a entrarvi, abbandonandola con l’agognato modulo d’atterraggio. Mentre attraversa l’atmosfera scoppia un fuoco all’interno del modulo, dovuto a guasti tecnici, e aprendo il paracadute e infine atterrando in un lago, è costretta ad abbandonare immediatamente la navetta. Il film termina con la Dottoressa Ryan Stone, mentre muove i primi e traballanti passi sulla riva.

I temi trattati in Gravity sono: il cambiamento e più in generale il comportamento della mente umana all’interno di catastrofi, il significato della vita e della morte. Il primo argomento citato è presente in tutto il film, soprattutto nel modo in cui si comporta e reagisce Ryan di fronte alle drammaticità. Il secondo è affrontato durante il viaggio con l’MMU verso l’ISS, dove si racconta della banale morte della figlia e sul suo motivo, apparentemente inesistente. Inoltre il film può essere riletto come un allegoria dell’evoluzione e rinascita dell’uomo, tema già visto in 2001: Odissea Nello Spazio di Stanley Kubrick, in quanto nelle scene finali Ryan è soggetta a un climax di situazioni che culmina con i passi traballanti sulla riva, ovvero l’umanità che rinasce, dopo essere giunta al vertice con l’esplorazione spaziale e decaduta con l’attraversamento dell’atmosfera, infine schiantatasi. Inoltre la figura di Kowalski è centrale in Gravity. Egli, anche se muore a meno di metà film, rimane una guida per Ryan, che agisce in sua memoria e addirittura incarnando in lui i valori in cui crede (nella scena in cui il narratore inattendibile ci mostra Matthew entrare nella navetta per soccorrere Ryan), ma che non può portare avanti da sola, troppo debole nella sua femminilità. Con la frase “Devi imparare a lasciare andare” il comandante allude al fatto che la dottoressa gli debba permettere di suicidarsi per salvarla, ma anche alla figlia morta per aver sbattuto la testa mentre giocava. Deve abbandonare quei ricordi per vivere la vita. Si realizza ciò che il comandante della missione avrebbe voluto per l’ingegnere biomedico nelle sue frasi finali, quando cerca di auto-infondersi coraggio tramite affermazioni fatte dalla sua guida, Matthew, in cui si comprende riconoscerlo tale. Interessante anche il titolo del film Gravity, che apparentemente non si collega alla storia, in quanto i protagonisti non sono soggetti alla gravità per quasi l’intero lungometraggio. Tra le molte interpretazioni che si possono dare, penso che una plausibile sarebbe costituita dal fatto che la Terra è sempre presente nella scena, sul retro dei protagonisti; come prova di ciò abbiamo l’illuminazione notevolmente maggiore rispetto a qualsiasi altro film di fantascienza (se così si può chiamare). La gravità, in questo caso, è la forza che non fa calare la volontà di Ryan, che attrae i protagonisti, che agiscono per tornare sul loro amato pianeta. La magistrale interpretazione di Sandra Bullock, principalmente nota per commedie, contribuisce in gran parte alla riuscita del film, anche grazie a George Clooney, che però rimane come al solito distaccato dal personaggio che deve interpretare, tanto che non riusciamo a trovare differenze nella sua recitazione tra i vari film a cui partecipa. Interessante il fatto che il cast sia in pratica composto interamente dai due sopra citati, scelta difficile, ma riuscita. Il film risulta angosciante e incalzante per tutta la sua durata (91 minuti: relativamente poco, ma un film di questo tipo non avrebbe permesso un ulteriore ampliamento, pena la noia da parte degli spettatori), coinvolgendoci e affermando in noi quello spirito di benevolenza verso i protagonisti, per cui vogliamo che riescano nei loro intenti. Per la realizzazione delle scene nello spazio, durante le passeggiate, furono utilizzate immagini create dal computer dietro alla recitazione dei due protagonisti, mentre nelle scene all’interno delle astronavi sono stati utilizzati robot per i movimenti di Sandra Bullock. In particolare le fu chiesto l’utilizzo di un macchinario complesso: l’entrata in esso richiedeva talmente tanto tempo che ella decise di rimanere al suo interno per molte ore al giorno. Un altro fatto incredibile è rappresentato dalla durata della realizzazione: ben quattro anni e mezzo, escludendo la fase di scrittura della sceneggiatura, di cui sono autori lo stesso Alfonso Cuaròn e il filglio Jonas. Inoltre le scene del trailer in cui vi sono forti suoni di esplosioni sono state silenziate nel film, in quanto nello spazio non può esserci alcuna comunicazione sonora. Dal punto di vista tecnico è meravigliosamente esemplare il piano sequenza di quasi venti minuti all’inizio, con cambi da oggettiva a soggettiva (come dall’esterno, attraverso il vetro del casco e in prima persona).

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The travel to the ISS

In quanto stiamo parlando di spazio, di astronavi e satelliti potremmo già definire Gravity un film di fantascienza. In realtà non è così, in quanto non vi sono alcuni elementi fantastici, come l’introduzione nella trama di alieni o tecnologie iper-avanzate. Il regista lo definì “un dramma di una donna nello spazio”. A mio parere il genere più adatto sarebbe il thriller scientifico. A questo punto occorrerebbe parlare dell’attendibilità scientifica del film. Il regista Alfonso Cuaròn dichiarò: “This is not a documentary. It is a piece of fiction”. Infatti Gravity non è sempre plausibile scientificamente, anche se, come spiegato da Cuaròn, “Molte inesattezze sono necessarie per sostenere la trama del film”, giustificandosi.  In realtà le non-accuratezze sono lievi ma numerose e sarebbero visibili solo da esperti. Il film è accuratissimo dal punto di vista della ricreazione della gravità zero. Molti astronauti e astrofisici sono rimasti sbalorditi dal meraviglioso lavoro svolto dal team del regista messicano. Gravity sbancò al box office (botteghino) battendo numerosi record di incassi: con un budget di 100 milioni di dollari, il film ne guadagnò circa 700. La critica lo osannò, definendolo magistralmente diretto e interpretato, oltre che dai meravigliosi effetti speciali e sceneggiatura. Il pubblico lo gradì altrettanto. Il film si è aggiudicato ben sette premi Oscar (montaggio, fotografia, regia, effetti speciali, colonna sonora, sonoro, montaggio sonoro), il maggior numero di statuette della serata, anche se il miglior film fu vinto da 12 anni schiavo di Steve McQueen. A questo punto penso ci si debba chiedere se Gravity sia un blockbuster o un pezzo di cinema d’autore. I meravigliosi effetti speciali e gli abbondanti incassi ci indurrebbero ad affermare la prima ipotesi, ma io penso che si stia facendo strada sempre di più questa seconda, anche visto recentemente con Birdman or The Unxpected Virtue of Ignorance (Birdman o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza), film che vanta la fotografia del premio Oscar Emmanuel Lubezki, il medesimo di Gravity, mi rendo conto di dover considerare questo cinema messicano in forte ascesa.

Gravity è un ottimo film, che vanta un cast stellare, effetti speciali incredibili e spunti di riflessione da cogliere. Inoltre la garanzia dei premi Oscar dovrebbe essere un invito per quelli che hanno deciso di non vederlo, immaginandosi un film noioso e ripetitivo. Gravity ci permette di gustare meglio i suoi particolari al cinema, in 3D o IMAX, ma rivederlo in TV è sempre un’esperienza spettacolare.

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